I ricercatori hanno utilizzato la tomografia a emissione di positroni per scoprirlo
- Uno studio del 2004 ha utilizzato la tomografia a emissione di positroni (PET) per esaminare l’effetto della vendetta sul cervello umano durante un gioco economico basato sulla fiducia
- Quando la fiducia veniva tradita, i partecipanti mostravano un forte desiderio di vendetta, che attivava le regioni del cervello legate alla ricompensa, in particolare lo striato dorsale
- L’attività cerebrale nelle aree della ricompensa indicava che la vendetta può generare sensazioni di piacere piuttosto che di malessere
- I partecipanti con maggiore attività nello striato dorsale erano disposti a sostenere costi personali pur di ottenere la loro vendetta
- La scienza suggerisce che il desiderio di vendetta è radicato nelle aree del cervello associate alla ricompensa, spiegando perché possa farci sentire meglio nel breve periodo, nonostante le conseguenze a lungo termine
La vendetta è un comportamento umano che tutti abbiamo contemplato almeno una volta nella vita. Ma cosa ci spinge a cercarla e perché ci fa sentire meglio? La scienza ha cercato di spiegare questa relazione attraverso vari studi, dimostrando che la vendetta può effettivamente attivare sensazioni di piacere. Nel 2004, uno studio pubblicato su Science ha esplorato come la vendetta influenzi il nostro cervello. I ricercatori hanno utilizzato la tomografia a emissione di positroni (PET) per scansionare il cervello dei partecipanti mentre giocavano a un gioco economico basato sulla fiducia. Questo gioco prevedeva situazioni che potevano portare a desideri di vendetta.
Il gioco coinvolgeva due giocatori maschi, la persona A e la persona B, che interagivano in modo anonimo. Ogni giocatore iniziava con dieci unità di denaro. La persona A decideva se trasferire le sue dieci unità alla persona B o tenerle per sé. Se A trasferiva il denaro, l’importo veniva quadruplicato, portando B a possedere 50 unità. B poteva poi scegliere di rispedire metà del denaro ad A o trattenere tutto per sé. Se B restituiva metà del denaro, entrambi finivano con 25 unità, un grande profitto rispetto alle dieci iniziali. Tuttavia, se B decideva di non restituire nulla, A rimaneva senza nulla mentre B si ritrovava con 50 unità. Se A non si fidava di B e non trasferiva denaro, entrambi restavano con 10 unità.
Una maggiore attività nelle regioni del cervello legate alla ricompensa
Quando la fiducia veniva tradita, i partecipanti mostravano un forte desiderio di vendetta. Questo desiderio si rifletteva in una maggiore attività nelle regioni del cervello legate alla ricompensa, in particolare nello striato dorsale. Questo suggerisce che la vendetta può generare sensazioni di piacere piuttosto che di malessere. Inoltre i partecipanti che mostravano un’attività cerebrale più intensa in questa regione erano disposti a sostenere maggiori costi personali, come perdere unità di denaro, pur di ottenere la loro vendetta.
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La scienza dunque suggerisce che il desiderio di vendetta è radicato nelle aree del cervello associate alla ricompensa. Questo spiega perché, nonostante le conseguenze a lungo termine, la vendetta possa farci sentire meglio nel breve periodo. La sensazione di giustizia ripristinata e la soddisfazione emotiva giocano un ruolo cruciale in questo processo, rendendo la vendetta un comportamento complesso e profondamente umano.
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