Fin dagli albori della sua esistenza l’uomo tende a credere alle teorie cospirazioniste. Dalla carta stagnola in grado di amplificare le comunicazioni mobili e le frequenze satellitari fino ad arrivare all’uccisione di Giulio Cesare nel 44 a.C. “organizzata” dai senatori, sono varie le teorie complottiste che hanno fatto parte della storia.
Cosa s’intende esattamente per “complotto”? Con tale accezione si vanno a delineare le varie ipotesi relative ad intrighi rivolti copertamente a danni su enti o persone. Seppur spesso prive di fondamento razionale e scientifico, l’uomo è particolarmente propenso a credere a queste tesi. Proprio a causa della poca credibilità dovuta alla mancanza di fonti certe che attestano la veridicità di tali supposizioni, i complottisti si collocano spesso ai margini della società.
Per questo motivo, secondo la professoressa di Psicologia Sociale Karen M. Douglas, questi soggetti sarebbero molto insoddisfatti del proprio tenore di vita, gettando così le proprie frustrazioni ed attribuendo colpe della loro situazione ad altri, in genere alle istituzioni pubblicamente riconosciute.
Pertanto i cospirazionisti sono soliti riunirsi in gruppi basandosi sulla logica del “noi soli contro tutti“. Dal punto di vista psicologico, inoltre, l’essere umano tende a credere a teorie del complotto per sentirsi “unico e diverso” dal resto della società, appagando così la sua convinzione di avere conoscenze al di sopra delle parti che nemmeno soggetti esperti in materia potrebbero possedere. Quest’ultimo aspetto richiama innanzitutto la componente narcisistica dell’individuo.
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Sentirsi parte di un “team” e di un insieme di persone, quindi, è uno dei motivi principali che induce le persone a credere fortemente alle teorie di stampo complottista. Tuttavia, supporre che le ipotesi cospirazioniste siano attendibili potrebbe comportare vari effetti sociali negativi, in primis l’allontanamento.
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