“Mi chiamo Katia, ho 18 anni e sono una ginnasta dall’età di 6 anni. Credo sia ormai noto a tutti quanto il mondo di questo sport sia malato e quello che spesso le allenatrici dicono e fanno a noi allieve. Per tanti anni, soprattutto i primi, quando ero piccola, non vedevo il negativo. Dai 14 anni in poi le cose hanno cominciato a peggiorare fino a quando qualche settimana fa, dopo aver preso qualche chilo, la mia allenatrice ha cominciato a dirmi che se fossi andata avanti così mi avrebbero buttato fuori dalla squadra. Ho provato a mettermi a dieta ma senza risultati.
Un giorno lei mi convoca nel suo studio e mi dà una serie di bustine che avrei dovuto sciogliere in acqua e che per un’intera settimana avrebbero sostituito ogni mio pasto. Mi dice che sono delle bustine che contengono tutto ciò di cui ho bisogno e che non avrei dovuto toccare cibo solo per 8 giorni. I risultati sarebbero stati straordinari… Dopo tante pressioni cedo a questa proposta…ma dopo 4 giorni senza mangiare sono svenuta sotto la doccia e tra un po’ mi spacco la testa. Questa chat ha avuto luogo quando l’allenatrice mi ha contattato per sapere come stesse andando il “programma alimentare”… e ve la invio come denuncia e per evitare che altri facciano le mie stesse stupidaggini!”
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Katia, una giovane ginnasta di 18 anni, condivide una vicenda drammatica che denuncia il lato oscuro dello sport che pratica fin da bambina. La sua storia mette in luce le pressioni estreme e spesso insostenibili a cui sono sottoposte le atlete, soprattutto nel mondo della ginnastica. Per anni, da piccola, Katia non percepiva il lato negativo di questo ambiente, ma con l’adolescenza le cose sono cambiate drasticamente.
Qualche settimana fa, dopo aver preso qualche chilo, la sua allenatrice ha iniziato a farle pressioni, minacciandola di essere esclusa dalla squadra se non fosse tornata “in forma”. Katia ha cercato di mettersi a dieta, ma i risultati non sono arrivati abbastanza velocemente per soddisfare le richieste della sua allenatrice.
Un giorno, viene convocata nello studio dell’allenatrice, che le consegna una serie di bustine, spacciandole per una soluzione miracolosa. Le viene detto che queste bustine, da sciogliere in acqua, avrebbero sostituito ogni pasto per una settimana. La promessa era di risultati straordinari in soli 8 giorni, ma il prezzo da pagare era estremo: niente cibo solido, solo quelle bustine. Sotto pressione, Katia cede.
Dopo soli quattro giorni di questo “programma alimentare”, il suo corpo cede: sviene sotto la doccia, rischiando seriamente di farsi male. Questo episodio la spinge a riflettere sull’assurdità della situazione e sulla pericolosità di quanto le era stato imposto. Qualche ora dopo, la sua allenatrice la contatta per sapere come stia procedendo il regime alimentare.
La chat che Katia condivide documenta il confronto con l’allenatrice, che si dimostra insensibile ai rischi e insiste sul fatto che il “programma” è efficace e necessario per la sua carriera. Katia, ormai consapevole del danno che stava infliggendo al suo corpo, decide di ribellarsi e denuncia pubblicamente quanto accaduto.
Questa storia è un potente monito per chi vive situazioni simili. Katia condivide la sua esperienza come una denuncia, sperando di sensibilizzare l’opinione pubblica sulla pressione psicologica e fisica a cui sono sottoposte molte atlete. Il suo messaggio è chiaro: nessuno dovrebbe mai mettere a rischio la propria salute per soddisfare standard irrealistici o richieste insensate, soprattutto in nome dello sport.
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