Questo perché la capienza è limitata a soli 18 coperti
- Un ristorante di Camogli richiede ai clienti di ordinare almeno due portate a testa, in risposta a una capienza limitata di soli 18 coperti
- La proprietaria ha spiegato che questa scelta evita la creazione di un menù a prezzo fisso e aiuta a mantenere l’identità culinaria del locale
- Si tratta di una scelta simile a pratiche già utilizzate in alcune strutture alberghiere.
- Nonostante le polemiche suscitate, il ristorante ha ottenuto un buon riscontro da parte della clientela abituale, anche se sui social si sono levate sia critiche che apprezzamenti
- Alcuni avventori si sono dichiarati in difficoltà con la nuova regola, soprattutto quelli con diete specifiche o preoccupazioni economiche, ma la proprietaria ha sottolineato che non ci sono intenti speculativi
A Camogli un ristorante sta facendo discutere per la sua controversa politica di prenotazione, che richiede ai clienti di ordinare almeno due portate a testa. Il ristorante “Sae” (che significa “sale” in genovese) ha una capienza limitata a soli 18 coperti e per questo motivo viene chiesto alla clientela di impegnarsi a consumare di più per poter accedere al locale. La proprietaria del ristorante ha spiegato che la decisione è stata presa per evitare la creazione di un menù a prezzo fisso, simile a quello di alcuni ristoranti francesi, e per mantenere la propria identità culinaria.
La scelta di richiedere un ordine minimo di due portate si ispira a pratiche simili adottate in alcune strutture alberghiere, dove è necessario prenotare un soggiorno di almeno due notti. Questo metodo è stato già sperimentato in precedenza da un’osteria a Ostuni, in Puglia, suscitando un acceso dibattito. Nonostante la polemica, il ristorante ha visto un buon riscontro da parte di una clientela affezionata, mentre i commenti sui social media variano tra l’apprezzamento e la critica.
Secondo la proprietaria non c’è intento di guadagno
Alcuni clienti esprimono difficoltà nel rispettare la nuova regola, in particolare quelli che seguono diete particolari o hanno preoccupazioni economiche. La proprietaria ha chiarito che non c’è un intento di sfruttamento o di guadagno e che il fine è mantenere l’equilibrio tra qualità e sostenibilità economica dell’attività. La situazione ha suscitato una riflessione più ampia sulla direzione che sta prendendo la ristorazione in Italia.
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Con l’aumento della moda di condividere i piatti, l’imposizione di un limite minimo di consumo potrebbe essere vista come un tentativo di preservare l’autenticità e la qualità del servizio, anche se ciò potrebbe risultare sgradito a una parte della clientela. La risposta dei commensali rimane un aspetto cruciale da monitorare, mentre il dibattito sui social media continua a mettere in luce le diverse opinioni riguardo a queste pratiche nel settore della ristorazione.
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