La nostra memoria non funziona affatto come un registratore in cui immagazziniamo indistintamente ogni informazione. Del resto, se ricordassimo ogni singola esperienza compiuta nel corso della nostra vita, il nostro povero cervello risulterebbe sovraccarico di dati inutili. Per questo, la nostra mente seleziona e filtra ciò che è utile ricordare. Quali sono i criteri sulla base dei quali avviene questo processo? A cercare di rispondere a questo interrogativo è stato uno studio pubblicato sulla rivista scientifica Nature Human Behaviour.
Gli autori dello studio hanno scoperto che ciò che tendiamo a ricordare è quello che non ci aspettavamo che accadesse. Insomma, episodi e avvenimenti memorabili tendono a essere trasformati più facilmente in ricordi rispetto agli aneddoti ordinari. Facciamo un esempio: immaginate di trovare una cabina telefonica nel bel mezzo del bosco. Si tratterebbe di un evento bizzarro, difficile da interpretare, che tenderebbe a rimanere impresso nella nostra memoria. Infatti, come spiegato da Ilker Yildirim, uno degli autori dello studio: “La mente tende a ricordare i fatti che non riesce a spiegare bene“.
Per giungere a questa conclusione, gli scienziati hanno sviluppato un modello computazionale su due fasi della memoria di un ricordo: l’immagazzinamento delle informazioni visive e la loro successiva ricostruzione.
Dopodiché, sono stati effettuati una serie di esperimenti in cui ai partecipanti veniva chiesto di memorizzare delle sequenze veloci di immagini. In questo modo, i test hanno messo in luce che esiste una correlazione diretta tra la complessità dei segnali visivi e la loro conservazione nella memoria.
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Riguardo la loro scoperta, gli autori dello studio hanno precisato che le nuove informazioni sul funzionamento della memoria umana potranno essere d’aiuto persino nell’ambito dell’intelligenza artificiale. Quando emerso dalla ricerca, infatti, potrebbe consentire agli scienziati di implementare sistemi di memoria più efficienti per gli algoritmi.
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