Quali lavori potrebbero presto essere fatti dall’IA?

6 milioni di lavoratori italiani sono a rischio sostituzione

 

L’intelligenza artificiale sta trasformando il mondo del lavoro con una rapidità che pochi avevano previsto. Se fino a qualche anno fa si parlava di un futuro in cui le macchine avrebbero affiancato l’uomo, oggi siamo già nel pieno di questa rivoluzione. In Italia, secondo uno studio Censis-Confcooperative, 15 milioni di lavoratori dovranno fare i conti con il cambiamento: 6 milioni rischiano di essere completamente rimpiazzati, mentre altri 9 milioni dovranno integrare l’IA nelle loro attività quotidiane. Questa evoluzione non colpisce tutti allo stesso modo: chi ha un’istruzione più alta potrebbe essere più esposto, con una conseguente amplificazione del gender gap nel mercato del lavoro.

Alcune professioni sono particolarmente vulnerabili all’automazione, specialmente quelle che si basano su attività ripetitive o su analisi di dati. I contabili, i matematici, gli analisti finanziari, i paralegali e persino alcuni ruoli nel settore della programmazione informatica potrebbero essere facilmente sostituiti da algoritmi avanzati. Anche il settore della logistica e dei trasporti è a rischio, con i veicoli autonomi sempre più vicini alla diffusione su larga scala. In generale, qualsiasi mestiere che può essere scomposto in operazioni standardizzate è nel mirino dell’IA.

Quali professioni potrebbero restare

D’altra parte, ci sono ruoli in cui la componente umana resta essenziale e difficilmente replicabile da un algoritmo. Professioni che richiedono creatività, empatia e capacità di problem-solving avanzato, come avvocati, insegnanti, terapeuti, medici e artigiani, continueranno a esistere e ad avere un ruolo chiave nella società. Anche le figure dirigenziali e i decision-maker avranno un vantaggio, poiché l’IA può supportare le scelte ma non sostituire il pensiero critico e la leadership.

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Nonostante l’IA offra molte opportunità, l’Italia è in ritardo rispetto ad altri Paesi europei nell’adozione di queste tecnologie. Solo l’8,2% delle imprese italiane le utilizza, contro il 19,7% della Germania e il 13,5% della media UE. Il gap è evidente soprattutto nelle piccole e medie imprese, che faticano a investire in innovazione. Eppure, un utilizzo più diffuso dell’IA potrebbe portare benefici economici significativi, aumentando la produttività e contribuendo alla crescita del PIL nazionale. L’altra faccia della medaglia è il rischio di un aumento della disuguaglianza. Il Fondo Monetario Internazionale avverte che l’IA premierà chi ha ruoli di alta responsabilità, mentre chi svolge mansioni ripetitive o di bassa qualifica potrebbe perdere il proprio posto di lavoro o vedere i salari ridursi. È fondamentale quindi investire in programmi di riqualificazione e aggiornamento delle competenze per garantire che la transizione tecnologica non lasci indietro intere fasce della popolazione.

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