Sembra roba da incubi, ma per una donna, vedere draghi al posto dei volti umani è stato per anni un evento quotidiano. Un gruppo di ricerca anglo-olandese all’Aia, nei Paesi Bassi, ha raccontato il caso clinico di una donna di 52 anni che si è presentata in una clinica psichiatrica nel 2011 con qualcosa di assolutamente insolito persino per i medici più esperti.
Per tutta la sua vita aveva visto volti umani trasformarsi in volti di draghi, con questa stessa allucinazione che si manifestava più volte al giorno. “Era in grado di percepire e riconoscere i volti reali, ma dopo alcuni minuti diventavano neri, le loro orecchie cominciavano a diventare lunghe e appuntite, il muso diventava sporgente, mettendo in mostra una pelle da rettile e occhi enormi di un giallo brillante, verde, blu o rosso”, ha scritto il team di ricerca nell’articolo presente su The Lancet.
Fin dalla nascita e dalla prima infanzia, questa donna ha avuto la prosopometamorfopsia, una sindrome che provoca una distorsione dei volti percepiti. Allo stesso tempo, ha sperimentato un particolare tipo di allucinazioni visive con un particolare tipo di viso. La salute di questa paziente si deteriorò nella sua prima adolescenza quando si rese conto di avere un problema, tuttavia decise di smettere di parlarne ai suoi genitori, per paura di essere ricoverata in ospedale.
Sentendosi isolata e depressa, diventò dipendente dall’alcol per diversi anni. Paradossalmente, sembra che l’alcolismo l’abbia aiutata ad affrontare il suo ambiente sociale: riuscì a diplomarsi alla scuola secondaria, sposarsi, avere una figlia e diventare amministratrice scolastica. Però la sua difficoltà a sostenere una percezione stabile dei volti altrui portò la povera donna a problemi di comunicazione e conflitti ricorrenti che la costrinsero a cambiare spesso lavoro.
Si decise a cercare assistenza medica solo dopo un ulteriore deterioramento dei sintomi. Gli esami clinici risultarono nella norma, ma si scoprì che la paziente soffriva di cefalee ricorrenti e altre allucinazioni. In preda alla disperazione, la donna effettuò numerose ricerche su internet per trovare esperti della sua condizione e inviò un’e-mail al professor Oliver Sacks, che la invitò a consultare i suoi colleghi dell’Istituto Psichiatrico Parnassia dell’Aia, insieme agli psichiatri dell’Università di Groningen e del Centro Medico Universitario di Utrecht.
Dopo una serie di esami, il team olandese le diagnosticò la sua rara condizione medica: la prosopometamorfopsia. Descritto per la prima volta nel 1947 dallo psichiatra tedesco Joachim Bodamer, questo raro disturbo è caratterizzato da un’alterazione del riconoscimento visivo dei volti. Questi appaiono distorti, con elementi che cadono, galleggiano, si gonfiano o si fondono. Recenti studi suggeriscono che questa patologia è associata ad un’anomalia nell’attività della corteccia visiva.
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Basandosi su queste scoperte, il team cominciò a lavorare ad una cura. Dopo vari tentativi falliti, si rivelò efficace la rivastigmina, un farmaco prescritto per il morbo di Alzheimer, che portò l’agognato sollievo alla paziente, la quale riuscì ad avere un numero sempre minore di allucinazioni.
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