Tra le specie più famose, ci sono le mantidi religiose; questi adorabili insetti, però, non sono certo gli unici a dedicarsi a pratiche cannibali. In questo elenco, infatti, rientrano api, scorpioni, criceti e persino dinosauri. Cosa spinge queste creature a cibarsi di membri della loro stessa specie? A ben vedere, si tratta di un comportamento che può rivelarsi decisamente controproducente in termini evolutivi: mangiare qualcuno che reca i nostri stessi geni, infatti, non sembra una buona idea.
Senza contare che nello scontro si correrebbe il rischio di finire vittime delle medesime armi impiegate per mettere k.o. l’avversario, come pungiglioni o artigli. Nella peggiore delle ipotesi, poi, questi animali potrebbero contrarre patogeni che attaccano specificatamente la loro specie, provocandosi un’infezione. Insomma, non c’è dubbio: il motivo che spinge alcune specie a praticare il cannibalismo deve essere necessariamente più conveniente rispetto a tutti gli svantaggi e i rischi che si corrono.
A fare luce sull’affascinante questione è stato l’entomologo Jay Rosenheim, che in un articolo pubblicato sulla rivista scientifica Ecology, ha sottolineato come le pratiche di cannibalismo aumentino in determinati contesti sfavorevoli, tra cui in primis la fame. Lo scienziato ha scoperto che ci sono due specifici ormoni collegati all’incremento di casi di cannibalismo: l’octopamina negli invertebrati e l’epinefrina nei vertebrati.
Queste particolari sostanze vengono prodotte in abbondanza quando un habitat diventa eccessivamente sovraffollato e il cibo scarseggia. Fame e rabbia spingono gli animali a nutrirsi di qualsiasi cosa, membri della propria specie compresi. Se da un lato il proposito è sfamarsi, un ulteriore risvolto di questo comportamento riguarda la regolazione del numero di esemplari della popolazione.
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Abbandonando per un momento le questioni etiche, infatti, il cannibalismo in natura sembrerebbe avere una funzione positiva. I sopravvissuti, infatti, andrebbero a comporre un gruppo meno numeroso, più sano e con un maggior numero di risorse a disposizione. Insomma, da questo punto di vista tale pratica servirebbe a ristabilire gli equilibri tra estensione della popolazione e beni di sostentamento.
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