No, non è solo uno stereotipo: le coppie delle nuove generazioni resistono meno alla convivenza o al matrimonio, rispetto a quelle composte da partner anagraficamente più maturi. A dimostrarlo è stata una ricerca sociologica, che ha esaminato le relazioni amorose di un campione di volontari, suddivisi per fasce d’età. Nel primo gruppo sono stati inclusi partecipanti nati tra il 1974 e il 1979, nel secondo gruppo quelli venuti al mondo tra il 1980 e il 1984, e nel terzo i nati tra il 1985 e il 1990.
La ricerca ha dimostrato che nel 50% dei casi i nati negli anni Settanta stavano ancora insieme al partner storico con cui avevano intrapreso la loro prima convivenza. Nel caso del secondo gruppo, la percetuale si è ridotta al 43%, per poi crollare drasticamente con i nati tra il 1985 e il 1990: a rimanere insieme è solo il 25% delle coppie.
Gli scienziati dello University College di Londra e dell’Università di St. Andrews, in Scozia, si sono chiesti le ragioni alla base di questo curioso fenomeno. Così, hanno scoperto che tutto dipende dalla progettualità in base alla quale due persone decidono di andare a vivere insieme.
Per le nuove generazioni, infatti, convivere con il proprio partner è pricipalmente un modo per rendersi indipendenti dalla propria famiglia di origine, ritagliarsi i propri spazi e dividere le spese, ammortizzando il costo della vita. Insomma, si tratta di motivazioni non proprio solide, che spiegano perché la maggior parte delle relazioni fallisce entro i primi due anni di convivenza.
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Caso ben diverso, invece, è quello che coinvolge le due fasce d’età meno giovani: le persone nate negli anni Settanta e all’inizio degli anni Ottanta, infatti, consideravano la convivenza come un passaggio intermedio verso il matrimonio. Per questo, erano spinte ad andare a vivere insieme sulla base di un progetto di vita comune.
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