Il Nobel è il premio scientifico più ambito al mondo e sancisce il massimo riconoscimento ad uno scienziato per le sue scoperte e il suo lavoro nel campo della fisica, della medicina o della chimica.
La prima edizione del Premio si tenne nel 1901 e da allora, in oltre un secolo di riconoscimenti assegnati, si è verificata tra diversi vincitori una tendenza anomala e per certi versi inspiegabile, definita “malattia del Nobel” o “Nobelite”.
Dopo l’assegnazione del premio, i vincitori, noti per i loro straordinari contributi in ambiti scientifici o umanistici, talvolta finiscono per sostenere idee pseudoscientifiche o irrazionali. C’è una lista sorprendentemente lunga di vincitori del premio Nobel che hanno espresso convinzioni pseudoscientifiche dopo la vittoria, di solito allontanandosi dal loro campo di competenza.
Pierre Curie, ad esempio, vinse nel 1903 il Nobel per la Fisica per la scoperta del radio e del polonio, prima di partecipare a sedute spiritiche e credere che indagare sul paranormale potesse aiutarci a rispondere a domande sul magnetismo. Charles Richet, che vinse il premio per la Medicina nel 1913, credeva che i medium durante le sedute spiritiche potessero espellere dalla bocca gli ectoplasmi.
Poi c’era il dottor Kary Mullis, che vinse il premio Nobel per la chimica nel 1993. Dopo la sua vittoria, espresse scetticismo sul cambiamento climatico e sul ruolo dell’HIV nell’AIDS, oltre a credere nell’idea ampiamente smentita dell’astrologia.
Linus Pauling, vincitore del Nobel per la Chimica nel 1954, promosse l’uso di megadosi di vitamina C come cura per numerose malattie senza prove scientifiche definitive, mentre Luc Montagnier, premio Nobel per la Medicina per aver scoperto nel 1983 il virus dell’HIV, sostenne teorie discusse sull’omeopatia, sui vaccini e sui metodi di cura per l’autismo.
Le ragioni dietro questo fenomeno possono essere complesse, ma alcuni studiosi suggeriscono che siano riconducibili a un senso di invulnerabilità. Dopo aver raggiunto il picco dell’eccellenza accademica, i vincitori possono sviluppare una fiducia eccessiva nelle proprie capacità intellettuali, portandoli a credere di essere infallibili o esperti anche in campi che non sono di loro competenza.
Questa tendenza è ulteriormente amplificata dal prestigio e dall’autorità che il premio conferisce, inducendo il pubblico a dare credito alle loro affermazioni, indipendentemente dalla loro validità.
Il fenomeno evidenzia che il riconoscimento per l’eccellenza in un ambito specifico non protegge necessariamente da errori di pensiero critico o dalla suscettibilità a credenze infondate. L’epidemiologo David Gorski ha osservato che la “malattia del Nobel” può derivare dal fatto che i vincitori tendono a non accettare critiche o correzioni, dato il loro status di autorità. Paul Nurse, vincitore del Nobel per la Medicina nel 2001, ha messo in guardia i futuri premiati dall’idea di considerarsi esperti in tutto, sottolineando l’importanza dell’umiltà intellettuale.
«Agli occhi di molte persone, ero improvvisamente diventato un esperto mondiale di quasi tutto. È stato piuttosto uno shock. Non è che io sia una persona eccessivamente modesta e so qualcosa di biologia e scienza in generale, ma un esperto di tutto, sicuramente non lo sono», ha spiegato Nurse in un articolo per l’Independent, consigliando ad altri vincitori del premio di stare alla larga da questa strada.
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Questo fenomeno, pur non indicando che i vincitori del Nobel siano più inclini alla pseudoscienza rispetto ad altri, dimostra che persino le menti più brillanti possono cadere in trappole cognitive. Rimane un importante promemoria del fatto che l’autorità accademica dovrebbe essere sempre accompagnata da uno scetticismo critico, soprattutto quando ci si avventura al di fuori della propria area di specializzazione.
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