Il lungo addio

“Mi chiamo Flavio e voglio condividere con voi una storia, la mia storia. Se mi incontraste per caso, se diventassimo conoscenti o amici, vi sembrerei una persona come tante, senza nulla di particolare. In fondo è così alla fine. Ma c’è un aspetto della mia vita che non condivido mai con nessuno che.. diciamo che è un’ombra, un aspetto molto triste della mia esistenza, anzi dell’esistenza della mia famiglia, che mi porto dietro e con cui convivo da sempre. Mia madre è in un istituto per persone non autosufficienti da quando sono nato o quasi: purtroppo ha avuto degli ictus che l’hanno ridotta a uno stato.. di fatto non capisce più nulla, vive senza sapere di essere al mondo, non riconosce nessuno. È molto brutto da dire ma si tratta per tutti noi di un grande peso soprattutto emotivo: un lungo addio, dice sempre mio padre, un lutto infinito che ci portiamo dietro da oltre 20 anni. Raramente condivido questo aspetto della mia vita con gli altri perché la pietà delle persone mi dà fastidio e ancora di più mi urtano i giudizi, più o meno velati, che molti si permettono di fare sulla nostra situazione. A volte però non si può sfuggire. Che dire. ognuno ha le sue croci: la mia è l’assistente sociale che crede di sapere tutto.”

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Un nostro fan di nome Flavio ha deciso di condividere una parte molto personale e dolorosa della sua vita, una realtà che lo accompagna da sempre ma che raramente condivide con gli altri. Racconta di un aspetto oscuro della sua esistenza che definisce un’ombra, un peso emotivo profondo legato alla sua famiglia.

Sua madre vive in un istituto per persone non autosufficienti da quando lui era piccolo, a causa di una serie di ictus che l’hanno portata a uno stato in cui non è più consapevole della sua esistenza, né riconosce i suoi cari. Questa condizione rappresenta per la sua famiglia un enorme fardello emotivo. Suo padre lo descrive come “un lungo addio,” un lutto senza fine che si protrae ormai da oltre vent’anni.

Flavio spiega che raramente parla di questa situazione con altre persone perché trova insopportabile la pietà e i giudizi, più o meno velati, che spesso accompagnano la comprensione di questa realtà. È un dolore che preferisce tenere per sé, evitando l’interferenza e i commenti di chi, a suo parere, non può capire appieno cosa significhi convivere con una tale situazione.

Tuttavia, ci sono momenti in cui non è possibile evitare il confronto con gli altri. Flavio accenna con amarezza all’intervento di un’assistente sociale, che ritiene di sapere tutto e di avere il diritto di giudicare la sua situazione. Questo aspetto rappresenta per lui una fonte ulteriore di frustrazione, in un contesto già estremamente difficile da gestire emotivamente.

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