La linea di Wallace, la barriera invisibile nell’oceano che gli animali non osano attraversare [+FOTO]

L’Asia e l’Oceania sono separate da una linea immaginaria sui cui lati opposti vivono specie animali molto diverse

 

La Terra è attraversata da numerose linee immaginarie, come quella dell’equatore che divide in due il pianeta, le linee dei Tropici del Cancro e del Capricorno, i meridiani e i paralleli. Esiste poi un’altra linea immaginaria meno conosciuta e ancora oggetto di studio da parte degli scienziati: la linea di Wallace. Si tratta di confine che attraversa l’oceano Indiano e separa Asia e Oceania per gli ecosistemi molto diversi tra loro.

La linea separa due diversi ecosistemi

Il confine biogeografico fu tracciato per la prima volta nel 1863 dal naturalista ed esploratore britannico Alfred Russel Wallace. Nei suoi viaggi attraverso l’arcipelago malese, una catena di oltre 25.000 isole tra il sud-est asiatico e l’Australia, che comprende paesi moderni come Filippine, Indonesia, Malesia, Papua Nuova Guinea e Singapore, Wallace notò che le specie che incontrava cambiavano in un determinato punto. Il confine che separava i due ecosistemi fu chiamato “linea di Wallace”.

A ovest della linea vivono animali tipicamente asiatici, come elefanti, tigri, rinoceronti, mentre a est ci sono specie tipiche dell’Oceania, come canguri, marsupiali e roditori. La linea Wallace rappresenta un confine molto reale per la distribuzione degli animali, con specie di terra e di mare molto diverse che si trovano su lati opposti.

La deriva dei continenti

Sul lato asiatico della linea le creature provengono esclusivamente dall’Asia. Ma sul lato australiano del confine, gli animali sono un mix di discendenza sia asiatica che australiana. Ad esempio, mentre alcune specie, come canguri e koala, sono endemiche dell’Australia e non si trovano nel Borneo, altre specie originarie del lato settentrionale della linea vivono su entrambi i lati del confine. Questa asimmetria nella distribuzione delle specie ha sconcertato gli scienziati per anni.

La diversità degli ambienti ha posto diversi interrogativi tra gli ecologi. Come mai le specie asiatiche hanno attraversato la barriera ma non altrettanto hanno fatto quelle australiane? Gli scienziati ritengono che questa anomalia sia stata causata da un grande cambiamento climatico estremo avvenuto 35 milioni di anni fa, quando l’Australia si staccò dall’Antartide e si spostò verso nord, andando a scontrarsi con l’Asia. La collisione diede origine alle isole vulcaniche dell’Indonesia.

In un nuovo articolo pubblicato sulla rivista Science, gli scienziati hanno utilizzato un modello computerizzato per simulare l’impatto del cambiamento climatico sulle specie animali, evidenziando che all’epoca quelle asiatiche erano molto più adatte a vivere nell’arcipelago malese. I principali cambiamenti climatici dell’epoca non furono causati dai movimenti dei continenti stessi, ma piuttosto dal loro impatto sugli oceani terrestri. Quando l’Australia si allontanò dall’Antartide si aprì un’area di oceano profondo che rese il clima molto più fresco. 

Due climi diversi oltre la linea

Il nuovo modello ha rivelato che il cambiamento climatico non ha influenzato tutte le specie allo stesso modo. «Il clima nel sud-est asiatico e nel neoformato arcipelago malese è rimasto molto più caldo e umido rispetto all’Australia, che era diventata fredda e secca» ha spiegato Alex Skeels, autore dello studio e biologo evoluzionista presso l’Australian National University. «Di conseguenza, le creature in Asia si sono adattate bene a vivere sulle isole malesi e le hanno usate come “trampolini di lancio” per spostarsi verso l’Australia. Così non è stato invece per le specie australiane», ha aggiunto. «Si sono evolute in un clima più fresco e più secco nel tempo e, di conseguenza, hanno avuto meno successo nell’affermarsi sulle isole tropicali rispetto alle creature che migravano dall’Asia».

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I ricercatori sperano che il loro modello possa essere utilizzato per prevedere l’impatto dei cambiamenti climatici odierni sulle specie viventi. «Potrebbe aiutarci a prevedere quali specie si adattano più facilmente a nuovi ambienti, poiché i cambiamenti del clima terrestre continuano a influenzare i modelli di biodiversità globale» ha concluso il ricercatore.

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