Ci sono culture e popolazioni che nel corso dei millenni hanno celebrato la morte dei propri cari con rituali insoliti
- In alcune parti del mondo la morte è celebrata con rituali funebri insoliti che si tramandano da millenni
- In Tibet con la “sepoltura celeste” i corpi vengono offerti in pasto agli avvoltoi
- I monaci buddisti in passato praticavano l’automummificazione, un processo di conservazione del corpo post mortem che cominciava quando erano ancora in vita
- In Madagascar ancora oggi si pratica periodicamente una danza propiziatoria con i corpi riesumati dei defunti
- In Cina e nelle Filippine c’è l’usanza millenaria di deporre le bare sulle pareti verticali di montagne e scogliere
La morte è un fenomeno rappresentato ed interpretato in modi diversi dai popoli di tutto il mondo, a seconda delle culture e delle epoche. I rituali funebri assumono così la massima espressione del pensiero di una comunità sulla fine della vita umana o del suo passaggio ad una diversa condizione esistenziale, a seconda delle credenze.
Le sepolture celesti in Tibet
In diverse regioni del Tibet il terreno roccioso e la mancanza di legna da ardere costituiscono un problema per le sepolture tradizionali o la cremazione. I tibetani hanno così cominciato ad offrire i corpi dei defunti agli avvoltoi. Questa pratica, definita “sepoltura celeste”, è in linea con la credenza buddista secondo cui la morte segna la liberazione dello spirito, lasciando il corpo come un vaso vuoto non più necessario all’anima. Rappresenta anche la generosità, un’opportunità per il corpo di nutrire altre forme di vita dopo la dipartita dello spirito. Nelle sepolture celesti monaci o individui designati preparano con cura la salma, scomponendola per aiutare gli avvoltoi a consumarla rapidamente. Ancora oggi le sepolture celesti rimangono una tradizione sacra nelle aree remote del Tibet e della Mongolia.
L’automummificazione dei monaci buddisti
Sokushinbutsu, o “Buddha vivente”, era una forma estrema di automummificazione praticata da alcuni monaci buddisti in Giappone attraverso una lunga e dolorosa preparazione mentale, fisica e alimentare, che si concludeva con la morte. Il processo aveva fasi che duravano in tutto sei anni, caratterizzate da privazioni progressivamente crescenti, accompagnate da esercizio fisico e meditazione. Attraverso il percorso dello sokushinbutsu si metteva alla prova la resistenza, non solo fisica, di colui che vi si sottoponeva, determinando profondi cambiamenti anche nell’assetto mentale. Il monaco si isolava e cominciava una dieta estremamente povera per perdere peso e massa corporea, facendo nel contempo esercizio fisico e meditazione. Cominciava poi ad assumere un tè tossico ricavato da una pianta velenosa che provocava forte nausea, sudorazione e diuresi, quindi ulteriore perdita di liquidi. La presenza della tossina nel corpo rendeva il cadavere dopo la morte repellente per larve e insetti che altrimenti se ne sarebbero cibati. Nell’ultima fase il monaco si chiudeva in una cripta in pietra in attesa della morte, mentre altri monaci all’esterno pregavano e attendevano il trapasso. Sebbene la pratica oggi non sia più legale, il corpo di sokushinbutsu conservati per autommumificazione possono ancora essere visti in alcuni templi del Giappone.
La danza con i corpi dei defunti
“Famadihana” è un’usanza funebre praticata dal popolo malgascio del Madagascar. Questo rituale prevede la riesumazione dei resti dei propri cari, il loro avvolgimento in sudari freschi e una danza con i corpi al ritmo di musica eseguita dal vivo. Il rituale si celebra tradizionalmente ogni cinque o sette anni e si ritiene che aiuti le famiglie a onorare i propri antenati e a rafforzare i legami familiari.
Il fuoco della devozione
“Suttee”, o “Sati”, era un’usanza funebre indiana risalente almeno al IV secolo a.C. in cui le vedove indù si autoimmolavano saltando sulla pira funeraria del marito nel tentativo di assicurarsi la loro riunione nell’aldilà. Si credeva che l’atto dimostrasse la massima lealtà e devozione di una vedova, ma la realtà era molto più cupa: molte vedove erano costrette a compiere l’atto, intrappolate da pressioni sociali che lasciavano loro poca scelta. Il dominio coloniale britannico vietò ufficialmente il Suttee nel 1829, ma la pratica sopravvisse in alcune zone rurali fino alla fine del XIX secolo.
Le bare sospese
Un’antica usanza funebre praticata da alcune minoranze in Cina consiste nel collocare le bare dei defunti in alto su pareti verticali delle montagne, poggiate su travi di legno sporgenti. Il rituale ha una tradizione millenaria ed è citato anche nei testi di Marco Polo.
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La pratica delle bare sospese è presente anche nelle Filippine, a Sagada. La gente del luogo esegue questo tipo di sepoltura da circa duemila anni, ritenendo che più in alto vengono collocati i morti, maggiori siano le possibilità per il loro spirito di raggiungere una natura superiore nell’aldilà.
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