Nella zona paludosa alla confluenza dei fiumi Tigri ed Eufrate, in Iraq, abitano i Ma’dan, detti anche arabi delle paludi. Sono un popolo tribale semi-nomade con una propria cultura distinta, il cui stile di vita è cambiato molto poco negli ultimi duemila anni. La loro vita ruota intorno alle paludi e vivono su case galleggianti fatte interamente di canne intrecciate e di qasab, un tipo di pianta simile al bambù che può crescere fino a 7 metri d’altezza.
Le piattaforme su cui i Ma’dan costruiscono le loro elaborate case galleggianti sono chiamate tuhul e sono ancorate al terreno per evitare che vadano alla deriva, andando a scontrarsi con le abitazioni vicine. Le case Ma’dan sono delle meraviglie architettoniche costruite interamente senza chiodi, legno o vetro. Possono essere necessari anche solo tre giorni per costruire una casa, utilizzando un metodo che è rimasto invariato per migliaia di anni. Le case costruite con le canne hanno l’ulteriore vantaggio di essere trasportabili.
In primavera, se le acque della palude si alzano troppo, un’abitazione a cinque archi può essere smontata, spostata su un terreno con acqua più alta e ricostruita in meno di un giorno. Con la dovuta cura e riparazione, le abitazioni di canne possono durare ben oltre 25 anni. In passato la numerosa comunità che abitava le paludi aveva costruito un numero tale di abitazioni sull’acqua che l’agglomerato aveva preso il nome di Venezia mesopotamica.
Verso la fine del XX secolo, durante il regime di Saddam Hussein, i Ma’dan sono stati perseguitati perché il governo sospettava che le paludi e le loro case galleggianti di canne ospitassero dissidenti. In passato, le stesse paludi erano un luogo di rifugio per schiavi e servi fuggitivi, poiché i Ma’dan hanno un grande senso dell’ospitalità e non dicono mai di no ad uno straniero in difficoltà.
Nel 1991, durante la rivolta in Iraq, Saddam Hussein ordinò che le zone umide dell’Iraq meridionale fossero prosciugate come lezione ai Ma’dan che ospitavano miliziani considerati terroristi dal governo. Rapidamente, le paludi furono prosciugate, il cibo cominciò a mancare e i Ma’dan furono costretti ad abbandonare le loro case e le loro terre. La poca acqua rimasta, a quanto si dice, era avvelenata.
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Si stima che nel nuovo millennio solo 1.600 arabi delle paludi, dei quasi 500.000 registrati negli anni ’50, vivano ancora in abitazioni tradizionali.
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