Nel periodo bizantino il fuoco greco fu una potente arma da combattimento che si alimentava con l’acqua invece di spegnersi. La sua forza distruttiva è documentata da diversi testi antichi ma la formula della sua composizione è rimasta sempre sconosciuta.
Tutte le informazioni che abbiamo sul fuoco greco provengono da manuali militari o da fonti storiche dell’epoca che si riferivano alla sostanza chiamandola “fuoco marino”, “fuoco liquido”, fuoco appiccicoso”, “fuoco di guerra”. Si trattava di un liquido infiammabile che una volta acceso si propagava velocemente e non poteva essere spento.
Armi incendiarie erano già state usate nel IX sec d.C., utilizzando sostanze combustibili come zolfo, petrolio e miscele a base di bitume, ma la prima menzione del fuoco greco viene dal cronista Teofane il Confessore, che attribuì l’invenzione al chimico Callinico di Eliopoli, nel VII sec.
Nei documenti non veniva mai spiegata la composizione della sostanza, quanto piuttosto la sua efficacia in battaglia. Il liquido infiammabile veniva inserito in vasi di terracotta e lanciato verso il nemico con catapulte. Poteva essere anche sparato contro i nemici attraverso un tubo posto a bordo delle navi o su macchine d’assedio, con un sistema analogo ad un moderno lanciafiamme. Il fuoco si attaccava agli oggetti e alle persone ed era impossibile spegnerlo con l’acqua, da cui anzi si alimentava ulteriormente. Se sparato durante una battaglia navale, la fiamma viaggiava sull’acqua del mare alimentandosi fino ad arrivare alle navi nemiche. Le imbarcazioni infatti erano impermeabilizzate con la pece, una sostanza altamente infiammabile e il fuoco portava alla loro completa distruzione in breve tempo.
I Bizantini attribuirono la scoperta del fuoco greco ad un intervento divino per il quale l’imperatore Costantino Porfirogenito (905-959 d.C) avrebbe successivamente raccontato nel suo libro De Administrando Imperio, di non rivelare mai i segreti della sua composizione affidatagli da un angelo. L’unico resoconto parziale viene dalla principessa bizantina Anna Komnene (1083-1150 d.C.), autrice dell’Alessia, che nel testo fornisce una descrizione dell’arma usata contro i Normanni: «Questo fuoco è prodotto dalle seguenti arti: dal pino e da certi alberi sempreverdi si raccoglie la resina infiammabile. Questo viene strofinato con zolfo e messo in tubi di canna, e viene soffiato dagli uomini che lo usano con alito violento e continuo. Quindi in questo modo incontra il fuoco sulla punta e prende luce e cade come un turbine di fuoco sulle facce dei nemici».
A partire dalla quarta Crociata (1202-1204 d.C.) l’uso del fuoco greco cominciò a diminuire fino a scomparire del tutto, e con esso segreto della sua composizione che molti chimici nel corso dei secoli hanno tentato di inutilmente di replicare.
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Secondo alcuni studiosi potrebbe essere stato un composto a base di petrolio modificato per aumentarne la potenza, come ad esempio nafta e resina di pino che, essendo appiccicosa, avrebbe fatto bruciare la miscela a più alte temperature e più a lungo. Probabilmente nella miscela era presente anche la calce viva. L’ossido di calcio, a contatto con l’acqua scatenava una serie di reazioni chimiche che non solo alimentavano la combustione ma producevano anche gas molto tossici. Non si hanno comunque certezze in quanto della formula non si hanno tracce sui testi dell’epoca.
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