Gli ippopotami hanno una pelle spessa oltre 5 centimetri e nonostante sembri molto forte e resistente, vista la stazza dell’animale, risulta invece molto sensibile ai raggi del sole ed è soggetta a forte disidratazione. Ecco perché gli animali trascorrono gran parte della giornata immersi in acqua ed escono per nutrirsi solo di notte. La loro pelle secerne un liquido rosa o rosso che a prima vista sembra sangue.
La particolarità era nota anche agli antichi, e Plinio il Vecchio ne lasciò testimonianza nei suoi scritti. Secondo il filosofo gli ippopotami, restando tutto il giorno in acqua, venivano punti o feriti dalle canne affilate presenti nella vegetazione delle paludi, facendoli sanguinare. La spiegazione rimase in vigore per molti secoli, tanto che fu ripresa da altri scrittori ed esploratori europei del XVIII secolo che raccontavano come gli ippopotami sembravano “sudare sangue”. Il chirurgo bolognese Salvi da Macerata nel XVII secolo scriveva che gli animali per via della loro stazza, quando si sentivano appesantiti per l’eccesso di sangue nel corpo, si recavano in un canneto e si ferivano per lasciarlo defluire all’esterno.
In realtà il liquido rosa o rosso sulla pelle degli ippopotami non è sangue. Si tratta di secrezioni di ghiandole sottocutanee che hanno funzione protettiva per la pelle. Anni fa un team di ricercatori ne ha studiato la composizione chimica, raccogliendone un campione da un ippopotamo, asciugando la pelle del muso e del dorso con una garza.
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Il liquido protegge delle radiazioni ultraviolette, agendo come protezione solare e aiuta la pelle a non disidratarsi. Ha inoltre proprietà antibiotiche prevendo le infezioni. Le ghiandole che producono la sostanza si trovano principalmente attorno alla testa e al collo degli ippopotami, e sono composte da lipidi e pigmenti rossi, da cui deriva il caratteristico aspetto rossastro.
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