Il curioso manufatto risale al 1682 e al posto delle pagine contiene undici cassetti con sostanze letali
- Un libro del XVII secolo è in realtà un sofisticato “armadietto dei veleni” con undici cassetti in legno e pomelli in argento
- Ciascun scomparto è etichettato con il nome di una pianta velenosa o medicinale
- Le erbe contenute nel libro includevano la belladonna, l’aconito e il papavero da oppio, noti per i loro effetti curativi ma anche letali se usati in dosi eccessive
- All’interno della copertina era incisa un’immagine di uno scheletro e la data 1682
- Sebbene alcuni lo abbiano definito “l’armadietto dell’assassino”, è più probabile che fosse uno strumento medico usato da un erborista, un farmacista o un alchimista
Un libro del 1600 era stato concepito all’epoca non per essere letto ma per contenere veleni letali. Il misterioso manufatto, messo in vendita nel 2008 dalla casa d’aste tedesca Hermann Historica, e venduto per 5.200 euro, ha destato curiosità ed interesse non solo nel mondo dei collezionisti, ma anche tra il pubblico di semplici appassionati di oggetti d’arte.
L’armadietto dei veleni
Il sofisticato “armadietto dei veleni” è un oggetto che nella sua epoca combinava scienza, arte e forse un tocco di intrigo. Se apparentemente sembrava un libro comune, al suo interno nascondeva undici cassetti segreti di diverse dimensioni, ciascuno etichettato con il nome latino di una pianta velenosa o medicinale. L’esterno del libro è realizzato con cura artigianale per assomigliare a un volume antico, mentre all’interno le sue pagine sono state sostituite dai piccoli scomparti in legno con le manopole in argento, progettati per custodire sostanze dalle proprietà terapeutiche o letali.
Le piante contenute negli scomparti includono alcune delle più pericolose della storia della farmacopea, come la belladonna, l’aconito e il papavero da oppio. Queste sostanze erano conosciute per i loro effetti narcotici, analgesici e mortali se usate in dosi eccessive. La belladonna, ad esempio, presa in piccole dosi, dilatava le pupille delle donne nobili e conferir loro uno sguardo più affascinante, ma in quantità eccessive causava allucinazioni, paralisi e morte. L’aconito, noto anche come “veleno dei lupi”, era utilizzato per avvelenare le frecce in battaglia e per eliminare nemici politici o rivali. Il papavero da oppio, invece, aveva un uso più medico, essendo impiegato per alleviare il dolore e come sedativo, ma poteva provocare forte dipendenza o overdose fatale.
A chi apparteneva il libro
Un dettaglio macabro che arricchisce il mistero di questo oggetto è la presenza, all’interno della copertina, di un’incisione raffigurante uno scheletro umano con la data 1682. Il disegno è una chiara rappresentazione del concetto di “memento mori”, un promemoria della mortalità e della fragilità della vita umana, comune nell’arte e nella cultura dell’epoca barocca. Oltre ai cassetti, il libro contiene anche lo scomparto per una bottiglia, probabilmente utilizzata per preparare in qualsiasi momento la pozione richiesta.
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Sebbene alcuni storici e collezionisti abbiano ipotizzato che questo fosse “l’armadietto dell’assassino”, destinato a contenere veleni letali per eseguire omicidi segreti, è più probabile che il manufatto fosse un raffinato armadietto medico portatile appartenente a un erborista, un farmacista o persino un alchimista del XVII secolo che utilizzavano spesso miscele di erbe e sostanze chimiche per curare malattie, trattare ferite e alleviare il dolore.

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