L’arte di non reagire è una pratica sorprendentemente comune. Di fronte a un evento avverso, invece di affrontarlo, ci rifugiamo nel dramma, ci crogioliamo nell’autocommiserazione e, inevitabilmente, scarichiamo le responsabilità sugli altri. Perché siamo così bravi a trovare scuse? La risposta è semplice: è più comodo lamentarsi che agire. Ma attenzione, dietro questa apparente pigrizia emotiva si nascondono meccanismi psicologici complessi che vale la pena analizzare. E sì, possiamo anche riderci su.
Arriviamo al cuore del problema: non reagire. Chiunque abbia mai subito un torto o affrontato un fallimento sa quanto sia seducente il pensiero di lasciar perdere, di restare nella zona di comfort, di convincersi che “va bene così”. È un comportamento che possiamo definire come “autosabotaggio passivo”. Secondo uno studio della Harvard Business Review, il 70% delle persone evita il confronto diretto per paura di peggiorare le cose, ma il risultato è una spirale di insoddisfazione.
E allora, perché continuiamo a non reagire? La risposta risiede in una combinazione di paura del fallimento e mancanza di autostima. Quando non crediamo di poter cambiare una situazione, restiamo fermi, sperando che il problema si risolva da solo. Spoiler: non succede quasi mai.
Il dramma è irresistibile. Ci lamentiamo delle persone “drammatiche”, ma la verità è che il dramma ci attrae come falene verso la luce. Perché? La scienza ha una risposta: le situazioni drammatiche stimolano il sistema limbico, la parte del cervello che governa le emozioni. L’attivazione della dopamina, un neurotrasmettitore legato al piacere, ci fa sentire vivi, mentre il cortisolo, l’ormone dello stress, ci tiene in uno stato di allerta. Un mix ad alto tasso emotivo, che però rischia di intrappolarci in un circolo vizioso.
A questo si aggiunge il desiderio di evitare le responsabilità. Affrontare il problema richiede energia, coraggio e, soprattutto, la capacità di ammettere che forse abbiamo sbagliato qualcosa. Troppo complicato? Molto meglio adottare la mentalità della vittima, dove tutto è colpa degli altri e noi siamo semplicemente il bersaglio sfortunato del destino.
L’autocommiserazione è come un divano comodo dove ci adagiamo ogni volta che la vita ci mette alla prova. È il modo perfetto per evitare di guardare in faccia la realtà. “Non è colpa mia” diventa il mantra quotidiano. Tuttavia, questo atteggiamento, noto in psicologia come “impotenza appresa”, è stato studiato da Martin Seligman. Secondo i suoi esperimenti, le persone che si convincono di non avere controllo sugli eventi della propria vita smettono di provare a cambiare le cose, accettando passivamente anche situazioni terribili.
Ecco allora che il dramma e l’autocommiserazione si trasformano in alleati perfetti per chi non vuole assumersi responsabilità. Ad esempio, quando diciamo: “Non riesco a cambiare lavoro perché il mercato è troppo difficile” o “Non inizio la dieta perché tanto fallirei comunque”, stiamo cercando di convincerci che il problema è fuori dal nostro controllo. Una grande bugia che ci impedisce di agire.
Accanto all’autocommiserazione c’è sempre l’invidia, quell’emozione fastidiosa che ci fa guardare gli altri con rancore. Non si tratta necessariamente di invidia maligna, ma di quella sottile amarezza che ci porta a pensare: “Perché loro sì e io no?”. L’invidia, però, è spesso legata alla nostra incapacità di reagire. Vediamo qualcuno che ha successo e pensiamo: “Che fortuna”, ignorando che probabilmente quella persona ha lavorato duramente per ottenere ciò che ha.
La psicologia ci insegna che l’invidia può essere trasformata in un’energia positiva, uno stimolo per migliorare noi stessi. Ma questo richiede uno sforzo: dobbiamo smettere di scaricare le responsabilità sugli altri e iniziare a chiederci cosa possiamo fare per cambiare la nostra situazione. Altrimenti, l’invidia non farà che aumentare i livelli di cortisolo nel nostro corpo, portandoci a un mix di stress e frustrazione che ci bloccherà ulteriormente.
Forse l’aspetto più interessante dell’immobilismo emotivo è la sua giustificazione razionale. Quando ci troviamo in difficoltà, non ci limitiamo a crogiolarci nel dramma: troviamo anche un colpevole su cui scaricare tutto il peso dei nostri fallimenti. Il collega che ci mette in cattiva luce, il partner che non ci capisce, il sistema che è “ingiusto”.
Questo comportamento, conosciuto in psicologia come “proiezione”, è una difesa inconscia che ci permette di proteggerci dal senso di colpa. Ma attenzione: più scarichiamo le responsabilità sugli altri, più ci allontaniamo dalla possibilità di risolvere i nostri problemi. Il risultato? Un ciclo infinito di recriminazioni e insoddisfazione.
Uscire da questo schema richiede impegno, ma è possibile. Ecco alcune strategie basate su studi scientifici:
L’ironia è un’arma potente contro il dramma e l’immobilismo. Prendere la vita meno sul serio non significa ignorare i problemi, ma affrontarli con leggerezza. Oscar Wilde diceva: “La vita è troppo importante per essere presa sul serio”. E forse aveva ragione. Ammettere che a volte siamo i principali responsabili dei nostri disastri può essere il primo passo per uscirne. E se lo facciamo con un sorriso, tanto meglio.
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