La storia del diamante Hope, la gemma maledetta ambita dai sovrani [+VIDEO]

Nei secoli la pietra blu ha affascinato reali, nobili, banchieri, gioiellieri, lasciando dietro di sé una scia di eventi nefasti

 

L’Hope Diamond è un diamante che ha una lunga storia fatta di mistero e fatti inquietanti. La sua rarità e bellezza ha affascinato per secoli i reali d’Europa che ambivano a possederlo nonostante la leggenda di una maledizione che colpiva i suoi proprietari.

La leggenda della maledizione

Le dimensioni e il colore del diamante ne accentuavano notevolmente il fascino: non era incolore come i comuni diamanti, ma di un blu intenso, e le sue dimensioni erano più grandi di una qualsiasi pietra preziosa. Originariamente pesava 112 carati (era grande come il pugno di un uomo), per poi arrivare dopo alcuni tagli a 45,52 carati.

Secondo le fonti sarebbe stato trovato in una miniera indiana nel 1642. Finì nelle mani di un mercante francese, Baptiste Tavernier, che lo portò in Europa e gli diede il nome di “Tavernier Blue”. La leggenda vuole però che in realtà Tavernier avesse rubato il diamante da una statua indù dove era stato incastonato per fare da occhio. Dopo il furto i sacerdoti avrebbero lanciato una maledizione contro chiunque fosse entrato in possesso della gemma.

Luigi XIV e “il Blu francese”

Tavernier vendette il diamante al re di Francia Luigi XIV, il Re Sole. La pietra era di grandi dimensioni e di forma asimmetrica, tagliata secondo l’usanza indiana. Il re la fece ridimensionare in base alla moda francese, tagliandola in forma regolare e lucidandola per esaltarne la brillantezza. La pietra diventò di 69 carati e prese il nome di “Blu francese” o “Diamante blu della corona”.

Dopo la vendita Tavernier, secondo alcune fonti, sarebbe morto a causa di una misteriosa febbre, mentre altri documenti lo danno in vita fino all’età di 84 anni. Il Re Sole morì invece a 77 anni a causa di un cancrena alla gamba derivante dalla gotta contratta nell’ultimo periodo della vita.

Dopo la sua morte i gioielli reali, tra cui il diamante blu, passarono in eredità a Luigi XV. Inizialmente molto amato dalla popolazione, negli anni cadde in disgrazia a causa di diverse scelte sbagliate e guerre sanguinose che portò avanti. Quando morì il popolo fece grandi festeggiamenti.

Il gioiello passò quindi a Luigi XVI e alla moglie Maria Antonietta che non indossò mai il diamante, poiché incastonato all’interno dell’elaborato emblema dell’Ordine del Toson d’Oro come simbolo del potere del re. La sua influenza negativa però portò la famiglia reale ad essere travolta dalla rivoluzione francese e a morire sotto i colpi della ghigliottina.

Gli inquietanti episodi legati al gioiello

Durante la rivoluzione il diamante fu rubato insieme ad altri beni reali e fece perdere le sue tracce. Ricomparve nel 1839 con il nome di “Hope” nel catalogo di una collezione di gemme di proprietà di una famiglia di banchieri londinesi. Fu poi ereditato da un discendente di Henry Thomas Hope, Lord Francis Pelham Clinton Hope, la cui moglie lo lasciò e che alla fine andò in bancarotta.

Il 19 gennaio 1908 sul Washington Post uscì un articolo sul diamante blu che raccontava gli episodi funesti che avevano colpito i suoi proprietari. La storia contribuì notevolmente ad alimentare la fama di gioiello maledetto e, contemporaneamente, ad accrescerne l’interesse sul mercato.

Il successivo proprietario dell’Hope Diamond fu Abdul Hamid II, sultano di Turchia, che lo aquistò per 450.000 dollari. Lo regalò a Subaya, una delle mogli che in seguito fece giustiziare. Hamid II in seguito vendette il diamante a Evalyn Walsh McLean, ma non ricevette un centesimo dopo essere stato detronizzato e i proventi sequestrati dai suoi successori.

Anche un postino subì la maledizione del diamante

Il diamante passò poi nelle mani del commerciante greco Simon Maoncharides che nel 1910 lo rivendette al gioielliere francese Pierre Cartier. Maoncharides morì precipitando da un dirupo con la sua auto. Il gioiello fu acquistato nel 1912 da Evalyn Walsh McLean, una ricca ereditiera. Si dice che, oltre ad indossarlo personalmente, lo avesse messo anche al collo del suo cane. La donna perse due figli, andò in bancarotta e morì tra enormi debiti e povertà. I suoi figli sopravvissuti vendettero il diamante nel 1949 ad un famoso gioielliere americano, Harry Winston, che acquistò la collezione McLean, contenente non solo l’Hope Diamond ma anche altre pietre importanti.

Winston nel 1958 donò la collezione alla nazione ed il diamante è ora esposto allo Smithsonian Institute, a Washington. La curiosità è che il gioielliere inviò il diamante all’istituto tramite posta, per soli 2,55 dollari di spedizione e 155 dollari di assicurazione. Anche se il gioielliere non subì alcuna conseguenza negativa dal possesso del diamante, il postino che lo consegnò a destinazione ebbe a stretto giro due gravi incidenti, di cui uno con un camion, e la sua casa fu danneggiata da un incendio.

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L’Hope Diamond è attualmente valutato circa 230 milioni di euro e si trova nella collezione nazionale di gemme e minerali presso il Museo Nazionale di Storia Naturale di Washington. Rimane uno dei diamanti più famosi di tutti i tempi. Da quando è entrato nel museo la maledizione sembra essersi fermata e anzi il gioiello pare abbia portato fortuna all’istituto, con un’affluenza sempre maggiore di visitatori ogni anno.

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