Esiste un confine tra competitività sana e rivalità tossica. Nel primo caso, il desiderio di eccellere è finalizzato a raggiungere i propri obiettivi, mettendo in campo risorse e impegno per fare del proprio meglio. La competività, però, può assumere contorni deleteri quando il desiderio di primeggiare non è mosso da un reale interesse personale, quanto dal bisogno di riscuotere l’ammirazione degli altri, soddisfacendo le pressioni sociali.
In questo caso, gli effetti nocivi della rivalità tossica potrebbero includere l’aumento di ansia e stress a causa dei continui paragoni che tendiamo a stabilire con gli altri. Nel confronto tra i propri e gli altrui traguardi raggiunti, potremmo rischiare di sentirci inadeguati e sperimentare un’intensa invidia nei confronti dei successi delle altre persone. Si tratta, però, di un sentimento distruttivo che porta con sé autosvalutazione, frustrazione e senso di inferiorità. Senza contare, poi, che spesso i paragoni vengono condotti in maniera totalmente arbitraria, poiché tendiamo a focalizzarci solo sui trionfi degli altri e sui nostri fallimenti, dimenticandoci che la storia personale di chiunque è costellata da alti e bassi.
Un ulteriore segnale che indica che siete animati da un senso di competizione tossica è l’intensa pressione derivante dal dovere di soddisfare le aspettative altrui. La competività sana ci porta a porci obiettivi in linea con le nostre motivazioni intrinseche, legate a passioni e scopi che ci poniamo perché siamo noi stessi a ritenerli importanti e stimolanti.
Questo, di conseguenza, agisce positivamente sulla nostra produttività, poiché ci spinge a migliorarci costantemente senza sovraccaricarci di impegni in modo eccessivo. Le persone animate da un senso di rivalità equilibrato e ottimale, infatti, sono ben consce del proprio valore, indipendentemente dal successo ottenuto. Per questo, sono disposte a mettersi in gioco con fiducia nelle proprie capacità, accettando eventuali fallimenti.
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L’insuccesso, per loro, è un’occasione per imparare dagli errori. Nella competizione tossica, invece, gli esiti negativi sono una prova inconfutabile del proprio disvalore totale. Per questo, la paura di fallire può condurre le persone in una situazione di stallo, in cui il desiderio di raggiungere i propri traguardi per ottenere il riconoscimento degli altri è accompagnato dalla paura bloccante di non essere abbastanza.
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