Come si mantengono i ricordi nel tempo?

KIBRA fa da “etichetta sinaptica”

 

La memoria a lungo termine è una capacità straordinaria del cervello umano, ma il suo funzionamento presenta ancora molti interrogativi. Una domanda cruciale è come i ricordi possano restare intatti per anni, nonostante la costante ristrutturazione molecolare delle sinapsi, ovvero le connessioni tra i neuroni, che formano il substrato fisico della memoria. Recenti studi pubblicati su Science Advances hanno fatto luce su uno degli elementi chiave di questo processo: la molecola KIBRA.

KIBRA svolge un ruolo fondamentale nel mantenimento delle memorie, agendo come una sorta di “collante” che stabilizza le sinapsi responsabili della memoria. Quando i ricordi si formano, KIBRA si lega alle sinapsi attivate, permettendo loro di mantenere la connessione con un altro enzima importante per la memoria: PKMZeta. Quest’ultimo è un enzima essenziale per il rafforzamento delle sinapsi, ma ha una vita breve e tende a degradarsi rapidamente. Qui entra in gioco KIBRA, che si lega al sito sinaptico e stabilizza PKMZeta, fungendo da “etichetta sinaptica” e garantendo che la connessione sinaptica rimanga forte.

Senza l’azione di KIBRA, le sinapsi tenderebbero a indebolirsi

La ricerca sottolinea che, senza l’azione di KIBRA, le sinapsi tenderebbero a indebolirsi, rendendo la conservazione della memoria molto più difficoltosa. Questo meccanismo è stato testato su modelli di mammiferi, mostrando come KIBRA sia essenziale per garantire la stabilità sinaptica nel tempo. Si ipotizza che variazioni genetiche legate a questa molecola possano avere un impatto significativo sulla capacità di memorizzazione e sul mantenimento della memoria. In altre parole, persone con diverse varianti genetiche di KIBRA potrebbero avere esperienze diverse nella formazione e nel mantenimento dei ricordi.

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L’interazione tra KIBRA e PKMZeta non solo chiarisce alcuni dei processi alla base della memoria a lungo termine, ma apre nuove prospettive nel campo delle neuroscienze. Comprendere a fondo questo meccanismo potrebbe infatti rivelarsi utile nella ricerca su patologie neurodegenerative, come l’Alzheimer, che coinvolgono il deterioramento della memoria. Le scoperte attuali potrebbero portare allo sviluppo di nuove strategie per rafforzare o stabilizzare le sinapsi, offrendo un potenziale punto di partenza per terapie in grado di rallentare la perdita di memoria.

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